Lipa – La recensione di Graziella Atzori
Graziella Atzori, scrittrice e poetessa sarda, che vive a Trieste da anni mi ha inviato la sua recensione di Lipa. E’ il suo pensiero rispetto al solo copione e non allo spettacolo, per questo motivo nel suo testo non troverete riferimenti agli attori e alla musica. Ringrazio di cuore Graziella per aver voluto condividere la sua opinione su Lipa.
30 aprile 1944: un piccolo paese croato, Lipa, a 60 km appena da Trieste, viene dato alle fiamme, completamente distrutto dai nazifascisti. La popolazione, trecento anime circa, è composta unicamente da donne, vecchi e bambini, il più piccolo di questi ha appena sette mesi. Il più anziano, l’ottantenne Anton, anima del villaggio, suo nume tutelare nell’immaginario dell’artista (Giuseppe Vergara) che narra l’eccidio, è il detentore di quei valori eterni, bontà e bellezza, che la barbarie dell’uomo, la crudeltà e il sadismo non potranno distruggere mai.
Anton è un uomo semplice, figlio del popolo, permeato da millenaria saggezza, incarnazione della pace priva di ogni rancore, sebbene gravido di infinita sofferenza, partecipe di quanto subisce la sua gente. La sua mitezza, neppure elogiata e dunque ancor di più patetica e sublime, costituisce il cuore del dramma. Dove tutto gronda sangue, fucilazioni, stupri, sopruso, Anton, mano nella mano fino all’ultimo respiro con la moglie Laura, sa miracolosamente volare con la mente, salvare per sé, e per tutti noi, un’immagine pura e incontaminata.
È il dono che ci permette di vivere, ricominciare sempre dopo ogni inferno. Anton non ha viaggiato ma in gioventù ha visitato Venezia, conservando per sempre il fascino paradisiaco della città galleggiante, archetipo del bello che salva (Dostoevskij). Sembra ricordarlo molto bene Vergara, che con squisita sensibilità sceglie un luogo (luogo non luogo, quindi utopia salvata) della pacificazione possibile. Venezia riempie cuore e mente dell’anziano eroe e di sua moglie, anche e soprattutto nel momento in cui essi vengono falciati sul sagrato minuscolo della chiesetta di Lipa.
Ma la pace a cui tende il dramma, con la sua poesia pietosa e magnifica, non sarebbe possibile né auspicabile senza la verità da riscoprire e raccontare, senza la nostra capacità di fare memoria. A ciò, è deputato un soldato tedesco, un uomo giusto direbbero gli ebrei, un fotografo incaricato di documentare i giorni e i fatti. Egli, seguendo il cuore, trafuga le immagini dell’orrore scattate, senza consegnarle ai superiori – questi le avrebbero distrutte inevitabilmente – le trattiene per sottrarle all’oblio e consegnarle alle nostre coscienze.
La capacità inventiva di Vergara sta nella cronaca e nel reportage, costituito da persone vive messe in scena con realismo, tutte convincenti; ma ancor di più nel creare il personaggio del giusto rivestito della divisa e dei panni del nemico. Vergara ci affida la sua pietas, il suo messaggio: la fratellanza fra i popoli che, sola, guarda a un domani diverso. Affinché l’uomo possa non ripetere errori e tragedie che disumanizzano.
Graziella Atzori
Esordisce nel ’95 con il romanzo Una donna e la luna per Todariana Editrice , nel corso degli anni pubblicherà fiabe, saggi, poesie e racconti fa cui ricordiamo la fiaba Il fiore dell’amistà, le raccolte di poesie Per noi l’eternità e L’anima persa e il saggio su Ada Negri in Scrittrici italiane dell’Ottocento e Novecento, le interviste impossibili. Nel 2014 si classifica al secondo posto, con il racconto Il mare dentro, al concorso Raccontami il mare promosso da Irreale Narrativa Km 0 ed esce il suo ultimo romanzo intitolato Saudade per David and Matthaus Edizioni.