I tagli alla sanità presentano il conto

Nel numero di dicembre de “Il Lavoratore” troverete un dossier sanità a cui ho contribuito con un articolo dove ho raccontato la mia esperienza con il Covid-19. Più che dei sintomi ho scritto della confusione in cui è precipitato il Dipartimento di Prevenzione dell’ASUGI a Trieste a causa della seconda ondata di contagi iniziata nei primi giorni di ottobre.

L’articolo riporta una situazione riscontrata nel mese di ottobre per cui non è più attuale anche se sicuramente a due mesi di distanza le cose non sono poi migliorate di molto. Sono molto grato alla redazione de “Il Lavoratore” che mi ha dato la possibilità di rendere la mia testimonianza su di una testata storica che esiste (a fasi alterne) dal 1895. Nata sotto l’impero Austro – Ungarico è sopravvissuta per tutto il novecento quando, proprio alla fine del secolo scorso, divenne organo della Federazione di Trieste del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea. Per conoscere la storia di questo giornale potete consultarne la pagina wikipedia a questo link.

Qui sotto trovate il mio articolo e in fondo potete scaricare il numero di dicembre 2020.

I tagli alla Sanità presentano il conto

Quando mi sono contagiato a Trieste, il 3 ottobre, in Friuli Venezia Giulia i nuovi positivi della giornata erano una cinquantina, i pazienti in terapia intensiva si contavano sulle dita di una mano e le persone ricoverate per Covid-19 erano 17.
Il giorno dopo la comparsa dei sintomi sono stato chiamato dall’ASUGI per fare il tampone il giorno stesso e in meno di 24 ore mi è stata comunicata la mia positività. Ai miei familiari è stato fatto il tampone dopo un’ora. L’iter dei tracciamenti è partito subito e le poche (per fortuna) persone che ho incontrato, nei tre giorni precedenti, sono state chiamate per fare a loro volta il tampone e messe comunque in quarantena preventiva nonostante siano risultate negative. Tutto funziona molto bene e molto velocemente. Ma nei giorni seguenti i casi aumentano con un ritmo serrato e le persone che devono fare i tamponi sono sempre di più. La gente da contattare aumenta in maniera esponenziale e il sistema salta.
All’interno dell’Ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni, fuori dalle strutture adibite ai tamponi, si crea il caos; assembramenti di persone in attesa e intere scolaresche si muovono con i genitori da una parte all’altra cercando di capire dove devono andare. Positivi e negativi tutti insieme. Non viene creato nessun percorso delimitato da colonnine o cose simili, in modo che la gente possa mettersi in fila e a distanza l’uno d’altro, e non c’è nessuno che dia delle indicazioni per cui lo stesso personale che fa i tamponi è costretto anche a dare informazioni e fare un lavoro di front- office che non gli compete.
Nel mio isolamento le uniche indicazioni terapeutiche che ricevo, dal mio medico di base, sono quelle di prendere tachipirina e di chiamare il 112 se inizio ad avere difficoltà respiratorie. L’azienda Sanitaria mi contatta con dei telefonisti per darmi appuntamenti di ulteriori tamponi senza verificare le mie condizioni fisiche. Così facendo, mi reco, come molti altri, anche se i sintomi sono ancora presenti, a fare inutili screening dall’esito scontato. Le chiamate del personale (gentilissimo) del Dipartimento di Prevenzione sono spesso piuttosto caotiche e si intuisce che non c’è un coordinamento visto che chiamano più volte (mi è capitato anche contemporaneamente dagli stessi uffici) per dare indicazioni che a volte sono discordanti. I tempi dei risultati dei referti dei tamponi si allungano fino ad arrivare a 72 ore e vengono inviati dopo molti giorni, lo stesso vale per i certificati di isolamento necessari per poter proseguire il periodo di malattia INPS. Man mano che i giorni proseguono i tracciamenti delle persone che sono state a contatto con i positivi saltano perché il numero delle persone da contattare è troppo elevato e i ritardi nelle consegne dei referti sono cosi elevati che molta gente è convinta di essere negativa perché non ha ricevuto risposte e invece scopre dopo molti giorni la sua positività. Anche i tempi, dalla comparsa dei sintomi al primo tampone, si allungano di molto. Insomma il sistema ha tenuto quando le persone da gestire erano poche. È bastato un (prevedibile) aumento dei contagi affinché tutto naufragasse in un mare di scelte sbagliate e disorganizzazione. Ma che sistema è quello che di fronte alla pandemia regge solo per pochi contagiati? E’ chiaramente un sistema che non è adatto ad affrontarla. Sembra però che da qualche giorno la situazione sia di nuovo migliorata. Sono aumentate le strutture all’Ex Ospedale Psichiatrico e per le scuole il tampone viene fatto molto rapidamente e con il risultato in tempo reale. Però c’è sempre la sensazione che chi gestisce l’emergenza debba prendere degli schiaffoni in faccia per svegliarsi e mettersi al passo.
D’altre parti d’Italia ci sono probabilmente situazioni ben più gravi con code chilometriche per i drive-in dei tamponi e attese per gli appuntamenti molto più lunghe delle nostre. Ma è solo dovuto al fatto che Trieste non è una grande metropoli, non ci sono altri motivi.
L‘obiettivo non deve esser tanto quello ipotetico di portare a zero il numero dei contagiati ma piuttosto di tenerlo basso quando il peggio sembra sia passato e quando ritornerà basso sarà necessario continuare ad investire su questa Sanità Pubblica devastata da dieci anni di tagli scellerati. Investire con criterio però, perché serve poco aumentare i posti di terapia intensiva se poi manca il personale qualificato che ci possa lavorare.

Il Lavoratore Dicembre 2020
Il Lavoratore Dicembre 2020

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