D’altri tempi di Stefano Tassinari – la recensione
E’ triste sapere che non potrò leggere più niente di nuovo di Stefano Tassinari che se ne è andato troppo presto e di cui ho sentito parlare solo dopo la sua morte.
Dopo aver letto molte cose su di lui, sulla sua vita dedicata all’impegno politico e sociale e sulle attività che promuoveva, organizzava e presenziava, anche durante il periodo della lunga malattia che lo ha colpito, non potevo non leggere una sua opera. Sono partito dall’ultima, la raccolta di racconti D’altri tempi, uscita nel 2011, un anno solo prima della sua scomparsa ed è stato un ottimo inizio. L’ho appena finita di leggere e ho voluto lasciarne testimonianza con una recensione che potete leggere qui sotto.
Ti ho visto scivolare verso il fondo di un’epoca più ripida di altre.
Stefano Tassinari se ne andato troppo presto, soli 57 anni, nel maggio del 2012. È stato uno scrittore, poeta, giornalista, autore teatrale, autore di programmi radiofonici e tante altre cose che si stenta a credere come mai non avesse valicato i confini del mainstream letterario, perlomeno nazionale. Probabilmente perché Tassinari è stato un combattente, con una militanza politica che poteva risultar scomoda. Ma è stato un combattente soprattutto perché ha lottato otto anni contro la malattia che lo affliggeva, nemica subdola e terribile, continuando a scrivere e a partecipare e organizzare un numero incredibile di iniziative senza fermarsi.
D’altri tempi è uscito solamente un anno prima della sua morte ed è stata purtroppo la sua ultima fatica letteraria.
Tassinari, nell’introduzione si lamenta, e a ragione, del fatto che l’editoria italiana è diffidente e fredda nei confronti del racconto e ringrazia l’editore (Alegre) per andar controcorrente. Ed è una fortuna che ci sia ancora chi ritiene che la forma letteraria del racconto non abbia niente di meno rispetto a quella del romanzo se non il fatto di essere diversa e basta.
Tassinari voleva raccontarci gli anni settanta, voleva raccontarci dieci storie, note e meno note. Voleva far parlare rockstar, condannati a morte, vittime e carnefici che hanno attraversato un decennio a cui Tassinari aveva dedicato molto in termini letterari e umani. Ha scelto la forma migliore; quella di realizzare un racconto per anno, partendo però dal 1969 e finendo nel 1978 quasi come se i suoi anni settanta fossero iniziati un po’ prima del calendario. Ed infatti la morte di Brian Jones, nel primo racconto, è uno dei tasselli che vanno a comporre la fine dei sixties. Pochi mesi dopo, nel concerto di Altmont dove morì accoltellato un diciottenne afroamericano, mentre suonavano proprio i Rolling Stones, orfani da poco del loro scomodo chitarrista, il decennio calerà il sipario sul flower power, sull’amore libero e sulla fantasia al potere.
È un inizio tutto sommato dolce anche se malinconico. I pugni allo stomaco arrivano con gli altri racconti, anno dopo anno. Perché Tassinari ci racconta la storia di altre morti che fanno più male, morti causate dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, da poteri forti, da dittature militari o da democrazie colpite al cuore. Si passa così alla triste e sconosciuta vicenda dell’attrice del Living Theater, Carolyn Lobravico, all’omicidio del leader delle Black Phanter, George Jackson, alle vittime irlandesi della domenica di sangue, all’ultimo condannato a morte del regime franchista, Salvador Puig Antich, al dramma dei desaparecidos. E poi storie italiane con le vittime degli anni di piombo: Francesco Lorusso e Roberto Franceschi, il festival di Parco Lambro del ’75 e concludendo con la morte, questa volta di un’istituzione, quella del manicomio prima della legge Basaglia, quasi un happy ending a testimonianza di un decennio segnato dal dolore ma anche da cambiamenti fondamentali e profondi della società di cui, almeno per certi aspetti, possiamo beneficiare ancora oggi.
Tassinari ha il merito di raccontarci queste storie con un piglio narrativo coinvolgente dando il compito del narratore o ai protagonisti stessi o ad altre persone testimoni in prima persona dei fatti accaduti. Ed è questo modo di raccontare il valore aggiunto di questo libro che si può ritenere un altro fondamentale contributo a quella memoria, non condivisa, degli anni settanta.
agosto 2015